Urbanistica

Illeciti edilizi, la procedura di fiscalizzazione non è una sanatoria

di Pietro Verna

La disciplina prevista dall' articolo 34, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 ( Testo unico dell'edilizia- TUE), cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio, si applica solo per le difformità parziali e, in ogni caso, non equivale ad una sanatoria perché non integra una regolarizzazione dell'abuso, né autorizza il completamento delle opere già realizzate ( Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 21 giugno 2018, n. 2847).

La vicenda processuale
Il proprietario di un immobile proponeva appello avverso il provvedimento con il col quale il G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere respingeva la sua istanza di dissequestro del bene già sottoposto a vincolo cautelare reale per difformità dal permesso di costruire (non conformità dai confini e dai fabbricati vicini) e per violazione della normativa antisismica . Decisione che il Tribunale confermava e contro la quale l'interessato proponeva ricorso per cassazione, lamentando che il giudice campano avrebbe erroneamente escluso ogni effetto sanante alla procedura di “fiscalizzazione” (avendo l'interessato provveduto a versare al Comune la somma richiestagli per non demolire le parti abusive dello stabile).

Cornice normativa
Secondo quanto previsto dall'articolo 34 del D.P.R. n. 380/2001, gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio, decorso il quale sono rimossi o demoliti a cura del Comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso (comma 1). Lo stesso articolo, al comma 2, dispone che quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio è tenuto ad applicare una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. Precisa, infine, che tali disposizioni devono applicarsi anche agli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e che “non si ha parziale difformità in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.

La pronuncia della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile ritenendo corretta la decisione del Tribunale campano di escludere ogni effetto sanante alla procedura di fiscalizzazione (« l'unica sanatoria possibile è quella di cui all'articolo 36 DPR n. 380 del 2001»). Ciò, per il fatto che tale sanatoria è destinata al recupero degli interventi abusivi previo accertamento della conformità degli stessi agli strumenti urbanistici e alla verifica della sussistenza di altri requisiti di legge, specificamente individuati dall'articolo 36 del TUE, ai sensi del quale in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da essa, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

Diversamente- argomenta il Supremo Collegio - il provvedimento di fiscalizzazione dell'illecito edilizio ex articolo 34 del TUE trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una sanatoria dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere eseguite. Principio, questo, costantemente affermato da Palazzo Cavour anche nel corso della normativa previgente (« la c.d. fiscalizzazione dell'illecito è la presa d'atto da parte della P.A. dell'impossibilità di provvedere alla eliminazione delle conseguenze “… “ derivate dall'illecito edilizio in considerazione degli interessi, ritenuti preminenti, di conservazione delle rimanenti parti assentite; il che non equivale “…” ad autorizzarne il completamento, considerato che le stesse, allo stato in cui si trovano, vengono tollerate solo in funzione della conservazione di quelle legittimamente realizzate » (vedasi Cassazione, Sezione III, sentenza 23 marzo 2004, n. 13978 e le pronunce ivi citate ).

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