Urbanistica

Giurisprudenza. Niente tasse sulla plusvalenza se chi compra poi demolisce

di Giorgio Gavelli

Si rafforza l’orientamento della Corte di cassazione favorevole ai contribuenti Irpef sulla non imponibilità della plusvalenza relativa alla cessione di fabbricati (costituenti abitazione principale, ereditati o posseduti da oltre cinque anni) a soggetti che provvedono alla loro demolizione .

In questi ultimi mesi, due ordinanze della Corte (n. 15920, depositata lo scorso 26 giugno, e n. 4361, depositata il 20 febbraio) ribadiscono che quando un immobile è edificato non può, anche ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, “regredire” ad area edificabile, anche se le parti ne hanno previsto la demolizione successiva alla cessione, non potendo peraltro la potenzialità edificatoria dipendere da elementi la cui realizzazione è futura ed eventuale, rimessa ad un soggetto diverso da quello interessato all’imposizione.

Con la Risoluzione n. 395/E/2008, a seguito di una istanza di interpello riguardante la cessione di fabbricati rientranti in un’area soggetta ad un piano di recupero già approvato dal Comune, l’agenzia delle Entrate ha ritenuto di considerare oggetto della compravendita non più i singoli fabbricati, ma l’area edificabile su cui gli edifici insistevano (diversamente da quanto sostenuto ai fini Iva: Circolare n. 28/E/2011). Con la conseguenza che, anche se il fabbricato è pervenuto per successione o donazione, ovvero è stato acquistato da oltre cinque anni o, per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto e la cessione, ha costituito abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, non scatterebbe l’irrilevanza ai fini Irpef della plusvalenza prevista dall’articolo 67, comma 1, del Tuir, e il reddito andrebbe dichiarato a quadro RM.

Gli Uffici hanno esteso la portata della citata Risoluzione sino a comprendervi tutte le ipotesi in cui l’edificio, dopo l’acquisto, è stato abbattuto, indipendentemente dalla presenza o meno di un “piano di recupero”. La prima, importante, censura a questa tesi è arrivata dalla Cassazione con sentenza n. 4150/2014, secondo la quale non possono essere «riqualificate» come imponibili «le cessioni aventi ad oggetto non un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, ma un terreno sul quale insorge un fabbricato, e che quindi è da ritenersi già edificato».

Ancora più significative sono la successive sentenze n. 15629, 15630 e 15631 del 2014, nelle quali la Cassazione ha ricostruito puntualmente la ratio sottostante all’articolo 67 del Tuir (e al precedente articolo 81 del Tuir) affermando che «ciò che rileva, dunque ai fini dell’applicabilità della norma in esame, è la destinazione edificatoria originariamente conferita, ad area non edificata, in sede di pianificazione urbanistica e non quella ripristinata, conseguentemente ad intervento su area già edificata operato da cedente o cessionario».

Elementi che la Cassazione ha ripreso successivamente, dapprima con sentenza n. 7853/2016 e poi con le citate ordinanze n. 4361/2017 e n. 15920/2017, da cui si ritraggono i seguenti concetti:

un “terreno già edificato” non può essere considerato alla stregua di un’area “vergine” a cui la pianificazione urbanistica imprime una destinazione edificatoria, anche perché, diversamente opinando, come sostenuto dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna (decisione n. 933/16/2015), «non esisterebbero più cessioni di fabbricati ma solamente cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria». E senza considerare che si tende a dimenticare che “regredendo” dal fabbricato non si incontra l’area meramente edificabile ma l’area “lottizzata” che la lettera a) del comma 1 dell'articolo 67 disciplina in modo autonomo;

in quest’ambito, elementi presuntivi di tipo soggettivo la cui realizzazione è futura, eventuale e rimessa al potere discrezionale di un soggetto (l’acquirente) diverso da quello interessato all’imposizione fiscale, non possono assumere alcun rilievo.

I suddetti principi vengono costantemente ripresi dai giudici di merito (da ultimo: Ctr Lombardia, decisioni n. 2049/17/2017 e n. 1164/8/2017).

Poiché in sede di risposta ad interrogazione parlamentare (prot. 5-03220 del 31 luglio 2014), il rappresentante del Mef ha affermato che il Ministero «si riserva di seguire i futuri sviluppi giurisprudenziali, monitorandone attentamente l’andamento», è presumibile che il consolidarsi dell’orientamento sopra ricordato (oramai gestito dalla Cassazione a livello di sintetiche ordinanze) porti ad impartire istruzioni agli Uffici circa l’abbandono delle molte liti in corso presso i vari gradi di giudizio, evitando inutili spese a tutte le parti in causa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©