Urbanistica

Crediti deteriorati, un «affare» da 160 miliardi di euro per il settore immobiliare

Mondo immobiliare e sofferenze bancarie, realtà legate da un filo indissolubile. Secondo i dati di Bankitalia i crediti deteriorati sono (dati a fine 2015) 360 miliardi di euro – quattro volte superiori al 2008 dice Pwc -, di cui 210 miliardi di sofferenze o Npl. Di queste 160 miliardi hanno garanzie reali, ossia presentano un sottostante immobiliare. Del totale degli Npl quindi il 47% è garantito, da un’ipoteca su un immobile.

Il mercato si è svegliato da diversi mesi, da quando sono stati cambiati e ridotti notevolmente i termini per rientrare in possesso di un bene. Secondo Pwc nel 2015 sono state molte le operazioni su Npl, quasi a quota 19 miliardi. Nei primi sei mesi del 2016 sono state registrate otto operazioni, da circa cinque miliardi. La più attiva tra le banche è Unicredit, con vendite di circa 4,7 miliardi di euro, Mps con tre miliardi, Banco Popolare con 2,1 miliardi. Nel frattempo, secondo Cerved, entro il 2020 la creazione di crediti insolvibili scenderà a quota 28 miliardi.

Dopo aver atteso a lungo, e invano, la nascita della Bad bank italiana, c’è ora uno schema per portare avanti operazioni di Npl. Non tutti però hanno un parere positivo sul tipo di mercato che si sta creando. «Sono scettico sulle possibilità del mercato – dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari -. Se non ci sono grandi compratori le operazioni non si possono fare. È un mercato che si deve misurare con grandi dimensioni. Interventi da un miliardo almeno sono la taglia minima per creare massa critica in modo tale da mettere gli operatori in condizione di lavorare gli immobili. Se le operazioni in giro sono solo da 200 milioni il mercato è destinato a finire in tempi rapidi. Le operazioni sono basate sulla variazione speculativa tra quando si compra e quando si vende. E molti beni dei pacchetti selezionati non si vendono per motivi validi, non sono riposizionabili sul mercato». Gli fa eco Daniele Buaron, presidente di First Atlantic Re holding: «Ci sono asset che valgono zero, come per esempio capannoni in una zona dove i capannoni non li vuole più nessuno. E di questo bisogna prendere atto».

Risale a novembre 2015 la prima operazione di Npl, ad aprile 2016 è stato creato il fondo Atlante, con una dotazione iniziale di 4,2 miliardi, il fondo Atlante 2 è in chiusura (si parla di tre miliardi), ma secondo gli esperti si tratta in ogni caso di importi non sufficienti a supportare l’intero mercato. A maggio quest’anno ci sono stati una serie di interventi normativi importanti. Cerved evidenzia in uno studio che grazie agli interventi messi in atto il 25% delle procedure è oggi sotto i due anni, il 50% richiede meno di cinque anni e il restante invece richiede ancora tempi lunghi (sopra i dieci anni). Non solo. Sempre in un’analisi di Cerved le banche hanno ridotto il valore di libro degli asset in sofferenze, ma i valori sono lontanti dalle aspettative dei compratori di Npl.

«L’intervento di Atlante è un ottimo passo che va nella direzione giusta, ma ci vuole forte concentrazione sul ruolo degli special services - dice Graeme Parry, head of corporate finance, debt & credit advisory di JLL -, che saranno coloro che devono alla fine monetizzare i crediti. Siamo sulla strada giusta, ma ci vorranno interventi più di sistema. In Spagna ci sono stati interventi da parte di gruppi che hanno comprato aziende di costruttori, più inseriti nel real estate per aggredire il mercato».

Prima di partire e addentrarsi in un’operazione su Npl bisogna capire bene cosa c’è nel portafoglio e valutare quali immobili hanno ancora potenziale da esprimere. E il vero differenziale negli ultimi anni lo ha fatto l’interesse degli investitori. «Negli ultimi mesi le operazioni si sono focalizzate su tipologie specifiche» dice Fabio Sangiovanni di Resolute asset management, che opera nel settore come advisor per le banche ma anche nel ruolo di compratore di Npl. Cala intanto l’interesse sul consumer mentre sale sul segmento commercial real estate perché è qui che si può ricavare la maggiore valorizzazione e un ritorno per l’investitore.

Le operazioni sono complesse. Come sottolineano da Reag, si parte da una due diligence legale e creditizia, si passa a una due diligence immobiliare, per definire il valore del sottostante, per poi arrivare all’analisi della valorizzazione e del recupero del credito. Già per le prime due fasi ci si scontra con problemi come la completezza e la freschezza dei dati e delle informazioni fornite. Le banche italiane non brillano per completezza dei dati. Anzi l’assenza di dati accurati sugli asset immobiliari posti a garanzia dei finanziamenti si è rivelata un grosso ostacolo alla cessione, perché spinge gli acquirenti a richiedere sconti ancora maggiori.

«Le modifiche normative hanno migliorato le possibilità di ripossessamento dell’asset - dice Angelo Bonissoni, managing partner dello studio Cba -. Ma per risolvere questi problemi ci deve essere una forte volontà politica e un intervento di natura legislativa a tutto tondo. Copiando anche da esperienze utili realizzate all’estero». Quali sono le aree di miglioramento? «Sul mercato aumenta il numero dei compratori - spiega Bonissoni -, e spero che l’insieme sia sempre più variegato. Spero anche che si possa procedere declinando l’esigenza nel corpo normativo, ma non con provvedimenti a macchia di leopardo».

Il mercato vive quindi una polarizzazione tra operazioni su pacchetti di grande entità che vanno poi ripuliti da immobili che non si possono valorizzare, operazioni attese, e invece deal di piccola entità realizzati su asset di qualità che vengono scorporati dai portafogli in sofferenza. «Selezioniamo pacchetti di crediti di piccole entità o singoli pezzi e andiamo a riqualificarli - dice Emanuele Grassi, titolare di Gma -. Un lavoro che ci permette di valorizzare il credito e l’asset. Ma il mercato attende adesso, per vivacizzarsi, operazioni di grandi entità come quella da 27 miliardi di euro attesa da parte di Mps».

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