Urbanistica

Real estate, l’Europa frena negli investimenti sul mattone non residenziale

È la doccia fredda del dato dei volumi di investimento relativo ai primi tre mesi 2016 a raffreddare l’euforia sul real estate. Le grandi premesse per l’anno in corso andranno dunque riviste per quanto riguarda il settore immobiliare?

Secondo i dati appena pubblicati dalla società Real capital analytics, a livello europeo il segmento del real estate commerciale ha registrato infatti un calo del 40% dei volumi di investimento. Causa principale della disfatta la volatilità globale che ha imposto una riassegnazione dei capitali dopo l’anno record nel mattone nel 2015. I volumi sono crollati quindi dai 77,6 miliardi di euro dei primi tre mesi del 2015 ai 46,7 miliardi del primo trimestre di quest’anno. La perdita peggiore è stata accusata dalla Francia (-59%) e ha accomunato tutti i settori in Europa. JLL invece registra volumi europei inferiori del 20% rispetto a un anno prima. Bisogna sottolineare che lo scostamento spesso è dovuto a metodi diversi di raccolta dati.

«L’elevato livello di investimenti registrato nel 2015 non è oggi sostenibile - dice Tom Leahy, direttore della ricerca a livello Emea di RCA -. Ad aggravare la situazione sono stati in particolare i dubbi sulla Cina e l’incertezza dovuta al referendum atteso a giugno in Gran Bretagna (qui gli investimenti sono scesi del 43% a 14,4 miliardi di euro nel primo trimestre 2016). Ma restano validi i fondamentali che finora hanno attratto capitali nel real estate e rimangono appetibili le quotazioni».

L’Italia, invece, contiene il calo. Nel nostro Paese sono stati investiti nel primo trimestre 2016 quasi 1,8 miliardi di euro, una contrazione del 6,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso, secondo le ultime rilevazioni di Cbre. Periodo che conteneva però la vendita del 60% di Porta Nuova al Qatar, presumibilmente per 900 milioni di euro. Il volume trimestrale si conferma, però, del 36% superiore alla media trimestrale degli ultimi quattro anni. Da notare che procede la crescita della componente domestica di capitale investito nel trimestre, pari a quasi 500 milioni di euro (200 milioni nel primo quarter 2015). Il capitale in arrivo dall’estero costituisce ancora la fetta più corposa dei volumi. E i tedeschi sono ancora una volta in testa.

Gli uffici restano area di caccia privilegiata (48% dei volumi), ma il retail guadagna terreno (32%), mentre la componente rappresentata da immobili misti è scesa al 6% e comprende prevalentemente investimenti non core per immobili da riposizionare. La vera sorpresa è Roma, dove sono stati investiti circa 700 milioni di euro nei primi tre mesi dell’anno, in forte crescita dai 120 milioni del primo quarter 2015. Volumi che però comprendono anche la definizione dell’operazione The Great Beauty (tre palazzi storici di Unicredit), conclusa lo scorso anno. Vivace nella capitale rimane anche il segmento hotel.

Quale sarà il trend per i prossimi mesi? Secondo Cbre le prospettive restano buone. Anche perché la discesa del trimestre è dettata da una serie di fattori esogeni ed endogeni che in alcuni casi sono venuti meno. In primis la volatilità del mercato azionario che ha influenzato anche il real estate, frenando le decisioni di investimento, e la scarsità dell’offerta. Il primo fattore è oggi scemato.

Cbre vuole comunque evitare allarmismi. E per questo ci tiene a sottolineare che il primo quarter 2016 viene messo a confronto con i primi tre mesi 2015, periodo nel quale è stata definita la vendita del 60% di Porta Nuova, secondo alcune stime per un controvalore di 900 milioni di euro circa. Il numero di deal quest’anno è stato, invece, superiore: 27 contro 22 di un anno prima.

Il fermento nelle trattative, anche se pochi sono in deal in fase di definizione secondo qualche esperto, fanno ben sperare per i prossimi mesi. E a mettere l’Italia sotto i riflettori sono anche, da un lato, il risveglio selettivo degli sviluppi e, dall’altro, il ritorno di investitori come Hines, che in due mesi ha chiuso due acquisizioni di alto livello.

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