Urbanistica

Bankitalia: se il tasso diventa negativo (cancellando lo spread), è la banca a dover pagare gli interessi sul mutuo

di Marco Piazza

Banca d’Italia ha recentemente diffuso una nota sui finanziamenti a tasso indicizzato (di norma Euribor o Eonia più uno spread) per i quali – a causa del fatto che dalla metà dello scorso anno, a questo riguardo, i principali parametri sono negativi - proprio il tasso indicizzato è divenuto negativo.

L’istituto avverte che le banche non possono applicare di fatto un tasso minimo (ad esempio “zero”) se non pubblicizzato e non incluso nella documentazione di trasparenza e nella modulistica contrattuale. Ciò significa che se l’indice negativo ha totalmente eroso lo spread, portando il tasso indicizzato in territorio negativo, la banca deve cominciare a pagare gli interessi negativi al mutuatario. Poco dopo il ministro delle Finanze ha diramato una comunicazione, trasmessa anche alla Banca d’Italia, in cui si spiega che, invece, lo Stato non deve esigere dai detentori di titoli pubblici indicizzati un tasso negativo in quanto – ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato - «per il mutuante il massimo rischio è quello della gratuità del contratto».

La regola evidentemente non vale se il mutuante è una banca. Poiché è pensabile che le banche si attengono, comunque, alle istruzioni di Banca d’Italia (a meno che l’istituto non modifichi il proprio orientamento), questa situazione, del tutto nuova, ha sollevato interrogativi sul regime fiscale di tali pagamenti. In particolare se esista qualche disposizione nel sistema che preveda un obbligo dell’intermediario di applicare una ritenuta.

La questione è già stata affronta, con riferimento al caso degli interessi negativi sui depositi bancari, su «Il Sole 24 Ore» del 19 aprile 2015, con la conclusione che l’interesse negativo corrisposto dal depositante non è deducibile dal suo reddito, principalmente per il fatto che i redditi di capitale rilevano fiscalmente solo se sono positivi. Sul fronte opposto, se la liquidità invece di essere depositata in una banca italiana fosse destinata a finanziarie una persona fisica, un ente non commerciale, una società semplice o un soggetto non residente, mancherebbe il presupposto di tassazione (non si tratta di un reddito derivante da impiego di capitale o dallo svolgimento di una delle attività suscettibili di generare redditi diversi di natura finanziaria) e quindi – se il tasso negativo fosse pagato da un sostituto d’imposta – anche quello di applicazione della ritenuta, se dovuta.

Le stesse conclusioni valgono per il caso in cui l’interesse negativo sia corrisposto dalla banca al mutuatario, anche se la comprensione del fenomeno economico è difficile. Il tasso d’interesse nominale deriva dalla combinazione del tasso di interesse reale e di quello dell’inflazione. Perciò, in periodi di inflazione, il tasso nominale è superiore a quello reale ed è comprensibile che in periodi di deflazione il tasso nominale sia inferiore a quello reale e possa, così, divenire perfino negativo. Ciò non toglie che la somma che la banca paga al mutuatario, nell’attuale congiuntura, mantenga la natura di un interesse, anche se negativo.

L’articolo 44 del Testo unico, tuttavia, è improntato al principio secondo cui i redditi di capitali sono tassati in capo al soggetto che effettua un impiego di capitale. L’unica eccezione riguarda le operazioni di pronti contro termine. Infatti, in base all’articolo 45, comma 1 del Testo unico, la differenza fra il corrispettivo globale a termine e quello a pronti rileva fiscalmente anche quando l’operazione ha finalità di raccolta e non di impiego (pronti contro termine passivi), quindi anche nei confronti del cessionario a termine, il quale non effettua alcun investimento.

Peraltro la norma – come chiarisce la circolare 165/E del 1998, paragrafi 1.2.3 – è congegnata in modo tale da sterilizzare i proventi conseguiti dal compratore a termine quando il contratto ha per sottostante titoli produttivi di interessi (anche se non pare che il meccanismo funzioni molto bene quando i tassi sono negativi), allo scopo di evitare che il cessionario a termine sia tassato su un provento che il cedente a termine non può dedurre. Al di la di questa eccezione non si riscontrano norme nel sistema che prevedano la tassazione di proventi di natura finanziaria in capo a soggetti diversi dall’investitore.

Non si può neppure richiamare l’articolo 67, c quater) del Testo unico sulla tassazione dei contratti derivati di tipo differenziale. Quando l’indicizzazione dell’interesse è positiva, infatti, viene pacificamente inclusa nell’interesse trattato come “reddito di capitale” (si veda, più di recente, la prassi sui Btp Italia); non sarebbe coerente, quindi, trattarla come “reddito diverso” nel caso in cui sia negativa.

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