Urbanistica

Al Mipim di Cannes le opportunità nel real estate italiano, viste dagli investitori esteri

Ripresa, riforme e riconquista della credibilità. Sono le tre parole che hanno caratterizzato il real estate italiano negli ultimi 18 mesi. E che operatori ed esperti del settore riuniti in questi giorni al Mipim di Cannes si augurano non svaniscano nel breve.

La ripresa è nei numeri relativi alle compravendite residenziali e ai volumi degli investimenti negli altri segmenti. L’Italia ha riconquistato la credibilità a livello internazionale, grazie anche a una spinta riformatrice che però oggi rischia di rallentare per effetto da un lato delle politiche monetarie espansive, che possono creare un’euforia irrazionale, dall’altro per l’avversità al cambiamento da parte delle strutture ministeriali ed amministrative.

«L’incisività delle riforme è cruciale per far tornare a una crescita sostenibile il nostro Paese - spiega Paolo Bellacosa, managing director capital markets Cbre italia - e per attrarre capitali internazionali. Credo che negli ultimi mesi il real estate italiano stia dando alcuni segnali di rallentamento. Sono convinto che la domanda sia in funzione dell’offerta e se i diversi stakeholder principali, lo Stato, le Banche, le Sgr non alimentano in modo significativo le proposte sul mercato gli investitori potrebbero rivolgersi altrove con effetti devastanti».

L’arrivo degli investitori internazionali, dai fondi americani ai fondi sovrani, e l’interesse crescente per il nostro mercato stanno spingendo le aspettative di molti proprietari. «Non dimentichiamoci che l’infrastruttura immobiliare italiana è obsoleta - dice Bellacosa - e in molti casi distressed, sono pertanto necessari investimenti significativi e assunzioni di rischio importanti. L’Italia, dal punto di vista del real estate, è uno dei Paesi meno sviluppati nell’area occidentale».

Come si presenta il nostro mercato agli occhi degli investitori? È diviso tra pochi asset super-core e la maggioranza dello stock value add, che per definizione appartiene alla categoria degli investimenti opportunistici. «Una tipologia di capitale che è disposto ad assumersi rischi che altri investitori non sono in grado di sostenere. E a fronte di tali rischi chiede corrispondenti rendimenti - continua l’intervistato -. Si apre oggi una fase in cui si dovrà lavorare molto sugli asset, riqualificarli, demolirli, reinventarli». Per poi riportare sul mercato prodotti core.

Il mercato commerciale italiano è piccolo, otto miliardi rispetto ai 13 della Spagna e rispetto ai 25 della Francia. «Il nostro mercato deve avere l’ambizione di arrivare almeno a 15 miliardi l’anno - dice Bellacosa - attraverso privatizzazioni statali efficaci e snelli e agevolando le procedure urbanistiche. Non solo. Le banche devono smaltire i crediti deteriorati. Stato e Banche hanno un ruolo e una responsabilità cruciale nei confronti del Paese».

La domanda rimane fortissima anche secondo il team di Cushman&Wakefield, che ha appena chiuso la vendita dei tre palazzi romani da 32mila mq commerciali del portafoglio “La grande bellezza” di Unicredit a Poste Vita e Zurich per oltre 220 milioni di euro. «Per gli istituzionali non ci sono investimenti alternativi. I capitali impeganti nel real estate tendono ad anticipare la ripresa dei consumi e dell’occupazione, che nei dati ancora non c’è - dice Joachim Sandberg, ad di C&W per il sud Europa -. In Emea ci sono stati circa 280 miliardi di euro di investimenti, che cercano soprattutto occasioni core, che iniziano a essere care. Oggi gli investitori mettono più equity e stanno quindi più attenti».

Vede rosa Leo Civelli, ad di Reag, che sottolinea come si sia arrivati, dopo un 2015 in netta crescita, ad avere prospettive solo positive. Nonostante la crescita bassa del Pil. «Tutti i fondamentali italiani stanno volgendo al positivo - dice Civelli - anche se in percentuali minime. Sul fronte real estate le prospettive sono buone, anche grazie al miglioramento della fiscalità. Restano al palo gli sviluppi immobiliari».

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