Urbanistica

Edilizia privata/1. L'approvazione del progetto non equivale a rilascio del permesso di costruire

di Donato Palombella

Il parere favorevole espresso dalla commissione edilizia comunale sulla domanda di rilascio del permesso di costruire, non può avere, né formalmente, né sostanzialmente, il valore di un atto di approvazione del permesso di costruire, essendo conclusa solo una fase dell'iter procedimentale. A tale conclusione è pervenuta l'ottava sezione del T.A.R. della Campania – Napoli, con la sentenza del 4 febbraio 2016, n. 666.

Il caso in esame
Una società, proprietaria di un'area ricadente in zona “B1” di PRG (per la quale era previsto l'intervento diretto) presenta (nel 2013) istanza di rilascio di un permesso di costruire e, nel silenzio dell'amministrazione, chiede (nel 2014) di conoscere lo stato del procedimento. Il Comune risponde di aver già rilasciato il PdC e che l'esito del procedimento era stato reso noto mediante pubblicazione all'Albo Pretorio. La società, a questo punto, chiede la consegna materiale del titolo edilizio ma il Comune risponde di non poter dare corso a tale richiesta in quanto, nelle more, era stato adottato il PUC (Piano Urbanistico Comunale) per cui erano scattate le misure di salvaguardia previste dall'art. 12 del DPR 380/2001. La proprietà, a questo punto, impugna il provvedimento di diniego chiedendone l'annullamento.

L'art. 12 del T.U. dell'edilizia
L'articolo 12, comma 3, del Testo Unico “Presupposti per il rilascio del permesso di costruire” prevede, espressamente che “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. […].” Il successivo quarto comma specifica che “A richiesta del sindaco [...] il presidente della giunta regionale, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione degli strumenti urbanistici.”

Due tesi a confronto: il parere del proprietario
La difesa del proprietario si poggia su una serie di elementi. Il PdC risultava già emesso in data antecedente all'adozione del PUC cosicché, essendo il relativo iter procedimentale ormai concluso e rimanendo soltanto da effettuare la consegna del documento, in effetti non sussisterebbero i presupposti per l'applicabilità dell'art. 12 del DPR 380/2001.
Le misure di salvaguardia a cui farebbe riferimento il citato articolo 12, richiamato nella nota impugnata, riguarderebbe una fattispecie diversa da quella in questione essendo applicabili solo alle domande di permesso di costruire presentate dopo l'adozione del PRG o di sua variante, o ancora pendenti al momento di tale adozione; nel caso in esame, invece, il progetto era stato già approvato mancando solo il formale rilascio del titolo edilizio. Sotto questo profilo, il richiedente non si limita a contestare l'applicabilità del detto art. 12, ma sottolinea che nessuna norma impedisce il rilascio del PdC già assentito dopo l'avvenuta adozione di un nuovo strumento urbanistico.
Il diniego di rilascio del titolo edilizio colliderebbe con tutti i principi di tutela della proprietà privata e dell'iniziativa economica, nonché con quelli del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, sarebbe stato peraltro leso, ingiustificatamente, lo jus aedificandi.

Il TAR chiede alcuni chiarimenti
Il Tribunale, constatando che la nota con cui il Comune aveva rifiutato il rilascio del titolo edilizio non brillava certamente per chiarezza in quanto, da un lato, conteneva un preciso riferimento al mero “ritiro” del permesso di costruire, che veniva perfino individuato con un preciso numero identificativo (98/2013), mentre dall'altro, parallelamente, richiamava le norme di salvaguardia, richiedeva all'amministrazione comunale una relazione esplicativa sulla vicenda invitandola a chiarire i punti dell'iter procedimentale al fine di stabilire se il PdC si fosse formato o meno.

La tesi dell'amministrazione
Il Comune si difende sostenendo che l'iter procedimentale per il rilascio del PdC non sarebbe mai giunto a conclusione e risulterebbe scandito da una serie di fatti:
-richiesta di permesso di costruire (del 03/04/2013) per la realizzazione di un fabbricato residenziale con applicazione del c.d. “Piano Casa”;
-parere favorevole della Commissione Edilizia (del 27.8.2013)
-richiesta di chiarimenti da parte dell'interessato (del 13.3.2014);
-riscontro a tale richiesta (del 24.3.2014) con cui l'amministrazione - da un lato - dava atto dell'intervenuto “parere favorevole” da parte della Commissione Edilizia - ma dall'altro, parallelamente - specificava che, a seguito della avvenuta adozione del PUC, l'area d'intervento era stata classificata come “Zona F - attrezzature pubbliche e ad uso pubblico” per cui erano scattate le norme di salvaguardia;
-richiesta di ritiro del PdC (del 24.4.2014).
L'amministrazione sosteneva, in parole povere, che la Commissione Edilizia si era limitata ad esprimere parere favorevole sul progetto senza che il PdC fosse stato mai rilasciato. A riprova, sottolineava che il permesso a costruire comporta la corresponsione degli oneri concessori, ovvero del contributo sugli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione (ex art. 16 commi 1 e 2 DPR 380/2001) che, in realtà, non erano mai stati versati. Di conseguenza, il PdC non poteva essere considerato formato né emesso.
Il Comune chiariva un altro punto: al “parere favorevole” espresso dalla Commissione Edilizia era stato assegnato il n. 98/2013 che sarebbe poi diventato il numero identificativo del PdC nel caso esso fosse stato rilasciato.

Il TAR conferma la tesi del Comune
Il giudice amministrativo osserva preliminarmente che il permesso di costruire è un provvedimento amministrativo “recettizio” (TAR Sicilia-Palermo dell'1.2.2011, n. 181; TAR Sicilia-Catania del 7.4.2009, n. 678) che viene ad esistenza con la comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V, 27 settembre 1996, n. 1152; TAR Piemonte, Torino, II, 4 novembre 2008, n. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 1 settembre 2006, n. 3166), a questo punto, quindi, occorre stabilire quando il PdC possa considerarsi “rilasciato”.
Il TAR, in proposito, richiama il secondo comma dell'articolo 15 del T.U. secondo cui “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”. Il termine “rilascio”, potrebbe avere una duplice interpretazione in quanto potrebbe essere inteso come “emanazione” del titolo concessorio, che verrebbe a coincidere con la “data dell'atto”, ovvero come “consegna” dell'atto, inteso come consegna materiale dello stesso. Sempre secondo il TAR, il “rilascio” viene a coincidere con la “consegna”. Ciò posto, il TAR ritiene che anche l'articolo 12 relativo ai “presupposti per il rilascio del permesso di costruire” deve essere interpretato come “consegna” del titolo abilitativo dei lavori. Partendo da questi presupposti il TAR, dato che il proprietario aveva chiesto la “consegna” del titolo edilizio, ritiene che, ovviamente, esso, a quella data, non era stato ancora rilasciato per cui il comportamento del Comune sarebbe del tutto legittimo.

PdC: necessari alcuni requisiti fondamentali
A conferma della mancata emissione del titolo concessorio, il giudice partenopeo richiama una giurisprudenza ormai consolidata, secondo la quale il PdC deve necessariamente contenere alcuni requisiti formali, quali i termini di inizio e di ultimazione dei lavori e la quantificazione del contributo di costruzione (Cons. di Stato, Sez. IV, 7.2.2011, n. 813; Cons. di Stato, Sez. IV, 30.6.2005, n. 3608; TAR Campania-Napoli 3.12.2001, n. 5185).

Il principio espresso dal TAR
Secondo il TAR il parere espresso dalla commissione edilizia in merito all'avvenuta approvazione del progetto e la comunicazione di tale parere agli interessati, anche mediante pubblicazione all'albo pretorio, non equivale al rilascio del titolo edilizio costituendo solo e semplicemente una fase dell'iter amministrativo che porta al rilascio del PdC. Non si può che condividere il parere del giudice amministrativo in quanto, in ipotesi, l'interessato, anche dopo l'approvazione, resta libero di procedere o meno al ritiro materiale del titolo concessorio. L'amministrazione, d'altro canto, non può agire contro il richiedente, a seguito della semplice approvazione del progetto, per richiedere l'adempimento coattivo degli obblighi derivanti dall'approvazione quali, per esempio, il pagamento degli oneri concessori, la cessione degli standard, la realizzazione delle opere di urbanizzazione ecc.
Se, nelle more dell'istruttoria, interviene un nuovo strumento urbanistico, nel caso in esame il nuovo P.U.C., scattano automaticamente le misure di salvaguardia che, come noto, determinano il “congelamento” delle situazioni mirando ad evitare che, nei tempi necessari al perfezionamento del nuovo strumento urbanistico, vengano rilasciati titoli abilitativi dei lavori in contrasto con lo strumento in itinere. Occorre precisare che le norme di salvaguardia non vietano in modo assoluto la edificabilità; nelle more dell'approvazione dei nuovi piani urbanistici, ma l'attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente (TAR Toscana, 4 febbraio 2011, n. 224)

Contrasto tra il progetto e le norme del PUC
Nel caso in esame il Comune ha ravvisato un contrasto tra il programma edilizio e le previsioni urbanistiche del P.U.C. per cui, legittimamente, ha ritenuto di applicare le misure di salvaguardia previste dall'art. 12 D.P.R. 380/2001. A questo punto sorge un altro interrogativo: l'amministrazione, una volta che abbia riscontrato un contrasto tra il PUC ed il programma edificatorio, avrebbe potuto annullare quest'ultimo in autotutela? Sul punto la giurisprudenza sembra divisa su due fronti opposti. Secondo un primo orientamento, l'annullamento d'ufficio non necessita di una espressa motivazione sul pubblico interesse, configurandosi, quest'ultimo, nell'interesse della collettività al rispetto dell'ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina urbanistica (Cons. Stato, IV, 4300/2012; Cons. Stato, V, 3037/2013; TAR Sardegna 651/2013). Un altro orientamento richiede, invece, un'espressa motivazione in ordine all'interesse pubblico che giustifica l'esercizio del potere di autotutela, non essendo sufficiente l'intento di operare un astratto ripristino della legalità violata (TAR Toscana, Firenze, III, 2 maggio 2014, n. 688; Cons. Stato, IV, 19/03/2013 n. 1605; Cons. Stato, IV, 4770/2011 che riforma sul punto).

Sentenza del Tar Campania n.666, depositata il 4 febbraio 2016

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