Urbanistica

Studio Nomisma-Anci: per la riqualificazione energetica di scuole e uffici servono 22 miliardi

Un investimento da quasi 22 miliardi. È la cifra necessaria per riqualificare uffici e scuole pubbliche italiane. Con un risparmio sulla bolletta energetica annuale pari a 750 milioni di euro. Un investimento che però , a condizioni di mercato, non «si ripaga da solo» in tempi ragionevoli, come spesso – erroneamente – si afferma quando si parla di efficientamento del patrimonio pubblico.

Ipotizzando l’impossibilità per la Pa di effettuare operazioni consistenti in conto capitale, il rientro generato dai soli risparmi energetici per le imprese chiamate a effettuare gli interventi necessari andrebbe ben oltre i 20 anni. Se si aumentasse però la possibilità di accedere a fondi statali e europei, o di godere di incentivi fiscali e tassi agevolati, i tempi si potrebbero ridurre di molto, arrivando intorno alla “soglia critica” dei 10-12 anni, soprattutto se gli interventi vengono effettuati nei grandi comuni e in zone climatiche fredde. È lo scenario che emerge in uno studio che Nomisma ha curato in collaborazione con l’Anci, dove vengono analizzati i differenti scenari possibili per fornire agli amministratori un quadro degli interventi da operare in relazione alle risorse disponibili e alle misure attivabili.

Secondo dati Enea e Cresme, ammontano a circa 13.500 gli edifici a uso ufficio e a 42mila le scuole, per una dimensione complessiva di poco superiore a 85 milioni di metri quadrati, pari a circa il 21,5% della superficie destinata a fini istituzionali. Nello studio è stato ipotizzato, per la totalità di questi edifici, un intervento di rigenerazione energetica “profondo” (deep retrofit) maggiormente concentrato sull’involucro, per un costo medio di 255 euro al mq. Si ottiene così un investimento complessivo di 21,8 miliardi, che scende a 17 depurato dall’Iva. Il risparmio annuo ottenuto sarebbe pari al 60% dell’attuale esborso, che si può stimare in 1,25 miliardi.

«Per valutare la redditività e, di conseguenza, la convenienza di un simile investimento – spiega Marco Marcatili, analista economico Nomisma e responsabile del progetto Anci – è utile ricorrere al calcolo del valore attuale netto dei flussi di cassa generati dai risparmi energetici. Considerando che l’investimento ipotizzato è una grandezza difficilmente comprimibile senza che vi sia una riduzione anche dei risparmi, si possono delineare differenti scenari a seconda del tasso di sconto applicato e dell’entità del credito di imposta a cui si attinge». Se si considera ad esempio un interesse di mercato dell’8%, per avere un tempo di ritorno di 15 anni sarebbero necessari incentivi fiscali – per le Esco che realizzano gli interventi –pari al 57,6% dell’investimento complessivo. «Attualmente – continua Marcatili – i meccanismi di incentivazione principali sono rappresentati dal conto termico e dai cosiddetti certificati bianchi, che consentono di recuperare una percentuale dell’investimento compresa tra il 20 e il 40 per cento. Quindi, senza intervenire sul costo del denaro o senza altre misure di sostegno, un simile intervento non sarebbe economicamente sostenibile». Se si differenziano però le ipotesi per dimensione del comune di appartenenza e zona climatica lo scenario cambia: nelle zone fredde, con il medesimo tasso di sconto e agevolazioni al 40% il ritorno è infatti possibile in 15 anni. «Naturalmente, si ottengono tempi di rientro più contenuti se si considera un costo della provvista inferiore, come può verificarsi nell’eventualità di un finanziamento della Bei (Banca Europea degli Investimenti, ndr) o di una iniziativa con l’intervento di Invimit Sgr».

Per gli edifici più datati comunque – rimarca Nomisma – è necessario prevedere azioni di riqualificazione e messa in sicurezza che necessitano di ulteriori risorse pubbliche, oltre agli incentivi già presenti: «Tali risorse possono venire da spesa programmata per interventi straordinari oppure da finanziamenti europei a fondo perduto (Por-Fesr), coerenti con gli obiettivi dell’Ue – conclude Marcatili –.Il nostro studio dimostra che non è possibile basare la fattibilità esclusivamente sulla leva energetica, ma un fattore imprescindibile di sostegno può essere costituito dall’integrazione tra flussi di cassa derivanti dall’efficientamento, dalla vendita di energia, dalla razionalizzazione degli spazi e, in definitiva, dalla gestione e manutenzione dell’immobile. Saper “ri-usare” il patrimonio pubblico non è un problema tecnico: le tecnologie ci sono, i progetti non mancano, le risorse finanziarie si possono trovare; manca un progetto politico comune».

A questo proposito, il direttore dell’Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, intervenuto pochi giorni fa alla ventitreesima assemblea annuale dell’Anci, ha annunciato che dal prossimo anno partiranno bandi di gara nazionali, aperti anche ai comuni, per efficientare gli immobili.

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