Urbanistica

Reverse charge, linea dura della Cassazione: sanzioni anche se manca il danno

di Andrea Paolini

Italia in affanno sulle sanzioni in materia di violazioni Iva legate al reverse charge con richieste troppo elevate nei confronti dei contribuenti anche in casi di mancato danno all'erario. A riaprire il confronto è stata la sentenza della Corte di cassazione 14767/2015 che affronta le conseguenze per i contribuenti nel caso di omesso reverse charge su acquisti intracomunitari, prevedendo che chi abbia omesso di integrare la fattura per un acquisto intracomunitario sia soggetto all'obbligo di pagamento di imposta, sanzioni e interessi a prescindere dall'effettivo danno erariale generato dalla violazione.Partiamo da queste considerazioni di carattere generale:contrariamente a quanto viene spesso affermato, in ambito Iva il reverse charge svolge una funzione ben precisa e può avere effetti sostanziali.

La traslazione dell'obbligo di assolvimento dell'Iva, infatti, può fare sorgere un debito d'imposta in capo al cessionario/committente. Il reverse charge non può essere declassato a mero artificio contabile;violazioni in materia di reverse charge commesse da contribuenti che godono di un pieno diritto di detrazione non possono generare un danno erariale salvo ipotesi di acquisti di beni o servizi con Iva oggettivamente indetraibile;un contribuente che registra una fattura di acquisto omettendo di contabilizzare l'imposta sicuramente commette una violazione ma difficilmente vuole arrecare un pregiudizio all'azione accertatrice. In tali casi, l'attività di verifica è pressoché automatica.Tornando alla sentenza va da sé che, in presenza di un pieno diritto di detrazione, si generano conseguenze abnormi rispetto al danno erariale che al massimo può essere misurato in termini di disallineamento informativo. La diffidenza dei gruppi multinazionali nei confronti del "sistema Italia" deriva anche dalle prassi seguite in materia di violazioni Iva che possono generare l'obbligo di pagamento di un'imposta che altrimenti non avrebbe dovuto essere versata e comportano il pagamento di sanzioni eccessivamente gravose per violazioni che non determinano alcun danno erariale. La prassi italiana in materia di violazione degli obblighi di reverse charge si pone a una distanza siderale rispetto a quelle di altri Stati con un profilo dimensionale ed economico comparabile. Per esempio Germania, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito non prevedono alcun pagamento a titolo di imposta o sanzioni, mentre Belgio, Francia, Irlanda, Portogallo e Spagna prevedono il pagamento di sanzioni, fisse o proporzionali, a un livello drasticamente inferiore a quelle italiane. La nostra posizione è più simile a realtà economiche a noi non paragonabili, come Grecia o Romania.La sentenza della Cassazione potrebbe vanificare le stesse modifiche al sistema sanzionatorio in via di introduzione in quanto qualsiasi violazione contestata oltre il termine dell'articolo 19 del Dpr 633/1972 non potrebbe più essere ascritta tra quelle inidonee a generare un pagamento d'imposta.Quali possono essere le soluzioni per evitare che i principi di neutralità e proporzionalità siano così trascurati? La prima - e più auspicabile - appare quella di tipo legislativo. Per le violazioni in materia di reverse charge, come riconosciuto dall'agenzia delle Entrate (circolare 35/E/2013), dovrebbe essere riconosciuta l'applicazione dell'articolo 60, comma 7 del Dpr 633.

Questa soluzione, ancorché non idonea a risolvere il problema della legittimità delle sanzioni applicate in Italia, avrebbe comunque il pregio di consentire la detrazione dell'Iva ogniqualvolta la definitività di un accertamento generi l'obbligo di pagamento di imposta, sanzioni e interessi, salvaguardando il principio di neutralità in relazione all'imposta versata.La rumorosità del dibattito fiscale in Italia spesso porta a dimenticare che la contabilizzazione di un'Iva indetraibile tra i costi da parte di un soggetto passivo che abbia un pieno diritto di detrazione, in ipotesi diverse da quelle tassativamente previste, non è una vittoria delle ragioni erariali ma un fallimento del sistema armonizzato dell'Iva.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©