Imprese

Aeroporti, le gare dei gestori per assegnare i negozi non devono seguire le regole del codice appalti

di Roberto Mangani

Una società aeroportuale quando affida in subconcessione aree per lo svolgimento di attività commerciali non è tenuta ad applicare il Codice dei contratti pubblici.
Infatti, da un lato essa non è qualificabile come organismo di diritto pubblico; dall'altro, l'attività commerciale non può essere considerata strumentale all'attività aeroportuale, che rappresenta il core business delle società che gestiscono infrastrutture aeroportuali e rispetto alla quale trova applicazione la disciplina relativa ai settori speciali.
Così si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031, con una pronuncia che delimita il campo di applicazione dei committenti che agiscono nei settori speciali operando importanti distinzioni in merito alla loro attività contrattuale.

Il fatto
La società Aeroporti di Roma aveva pubblicato un avviso con cui manifestava l'intenzione di concedere in sublocazione alcune aree destinate allo svolgimento dell'attività di cambia valute. A fronte delle manifestazioni di interesse pervenuta da sette operatori la società procedeva a invitarli tutti a formulare la propria offerta.
Intervenuta l'aggiudicazione un concorrente non aggiudicatario impugnava gli esiti della procedura ritenendola illegittima in quanto l'ente committente non aveva provveduto ad applicare il Codice dei contratti pubblici. Il giudice amministrativo di primo grado accoglieva il ricorso.
La sentenza del Tar veniva tuttavia impugnata da Aeroporti di Roma che proponeva due censure. Con la prima veniva contestata la qualificazione della stessa come organismo di diritto pubblico; con la seconda si metteva in discussione la nozione di strumentalità rispetto all'attività aereoportuale, in base alla disciplina propria dei settori speciali.

L'organismo di diritto pubblico
Contrariamente a quanto affermato dal Tar Lazio, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la Società Aeroporti di Roma non possa essere qualificata come organismo di diritto pubblico.

È noto che la categoria dell'organismo di diritto pubblico è di origine comunitaria e – a prescindere da quale sia la forma giuridica del committente – si fonda sulla contestuale ricorrenza di tre requisiti:
a) avere personalità giuridica
b) avere l'attività finanziata in modo maggioritario da soggetti pubblici o la gestione sottoposta al controllo degli stessi o gli organi di amministrazione, direzione e vigilanza nominati sempre da soggetti pubblici
c) essere stato istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.

È proprio su questo terzo requisito – da sempre oggetto di notevoli discussioni e di numerosi interventi giurisprudenziali – che si è incentrata l'analisi del Consiglio di Stato. Il giudice amministrativo ha infatti ritenuto che tale requisito non appartiene alla società Aeroporti di Roma in quanto quest'ultima svolge la sua attività in regime di concorrenza, operando secondo criteri di efficienza e redditività e assumendo conseguentemente il rischio di impresa. Queste modalità di azione sono sufficienti a qualificare l'attività come avente un carattere industriale o commerciale e ad escludere quindi che ricorra il terzo requisito sopra indicato.
In sostanza, la qualifica di organismo di diritto pubblico non ricorre quando il committente persegua la sua finalità istituzionale in un contesto economico concorrenziale che lo ponga quindi in competizione con altri soggetti e senza usufruire di sovvenzioni pubbliche dirette ad attenuare o addirittura annullare il rischio di impresa.
Si deve ritenere che la società aeroportuale agisce in un mercato concorrenziale, rappresentato dalla pluralità di gestori aeroportuali che si fronteggiano per incentivare l'afflusso di vettori aerei anche attraverso l'offerta dei loro servizi. Ogni gestore di aeroporto compete con gli altri, aventi caratteristiche similari, per attirare la domanda dei vettori aerei.
Né sussiste alcuna sovvenzione pubblica, anche tenuto conto che la gestione di un aeroporto si caratterizza per la presenza di una significativa attività commerciale – costituita in primo luogo dai servizi offerti ai vettori aerei - idonea a consentire il raggiungimento di un equilibrio economico – finanziario della stessa.

Il nesso di strumentalità
La mancata qualificazione di Aeroporti di Roma quale organismo di diritto pubblico, se costituisce un elemento significativo nell'escludere l'obbligo di applicazione della normativa pubblicistica sulle procedure di gara, non ha tuttavia rilievo decisivo.
Occorre infatti considerare che nell'ambito dei settori speciali – tra cui rientra la gestione di infrastrutture aeroportuali – tra i committenti sono ricompresi anche quei soggetti che, al di là della loro qualificazione giuridica – e quindi ancorché siano a tutti gli effetti soggetti privati - esercitano una delle attività che connotano appunto i settori speciali.
Per quanto riguarda i gestori aeroportuali, l'attività che viene in considerazione è quella consistente nello sfruttamento di un'area geografica per la messa a disposizione di aeroporti. In sostanza, sono tenuti all'applicazione del Codice dei contratti pubblici - per la parte relativa ai settori speciali – coloro che sfruttano l'area aeroportuale ai fini del funzionamento della relativa struttura.

È tenendo presente questo ambito applicativo che vanno esaminate le diverse fattispecie. Occorre quindi stabilire se l'attività oggetto dello specifico affidamento si ponga in un rapporto di mezzo a fine rispetto all'attività tipica che è quella della gestione aeroportuale. In sostanza, affinché il gestore aeroportuale sia tenuto ad applicare le norme del Codice dei contratti pubblici, vi deve essere un nesso di strumentalità tra l'attività oggetto di affidamento e l'attività tipica di gestione dell'aeroporto.

Secondo il Consiglio di Stato sono caratterizzate da questo nesso di strumentalità tutte le attività che sono immediatamente e direttamente correlate al servizio di trasporto aereo. La correlazione deve essere funzionale, nel senso che deve emergere con chiarezza che le suddette attività sono strettamente strumentali ai fini del miglior soddisfacimento delle esigenze del traffico aereo.

Facendo applicazione di questi principi il giudice amministrativo ha ritenuto che nel caso di specie, trattandosi di un'attività tipicamente commerciale priva di un collegamento diretto con le esigenze del trasporto aereo, il relativo affidamento non sia sottoposto alle norme del Codice dei contratti pubblici.

Il Consiglio di Stato prende anche in considerazione due elementi che il Tar aveva ritenuto fornissero argomenti per l'accoglimento della tesi opposta. Il primo attiene all'esistenza di un considerando della Direttiva UE 2014/23 secondo cui le attività relative al settore aeroportuale ricomprenderebbero anche i servizi forniti ai passeggeri che contribuiscono al regolare funzionamento delle strutture aereoportuali, quali servizi di vendita al dettaglio, di ristorazione pubblica e di parcheggio auto. In effetti la dizione utilizzata potrebbe far propendere per una nozione ampia di strumentalità. E tuttavia il Consiglio di Stato sottolinea come di tale nozione non vi sia alcuna traccia nelle norme, circostanza che porta a concludere per una funzione meramente programmatica del considerando in questione.
Né la tesi dell'inclusione dei servizi commerciali nell'ambito della gestione aeroportuale può trovare conferma in un parere in tal senso a suo tempo rilasciato dall'ANAC (13 luglio 2016, n. 758), posto che tale parere non ha natura vincolante ed è quindi del tutto fisiologico che il giudice se ne possa discostare.

I committenti in forma societaria
Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ribadisce quell'orientamento che si è andato consolidando negli anni secondo cui per i committenti che operano in veste societaria ciò che rileva al fine di stabilire la loro sottoposizione alla disciplina pubblicistica sui contratti sono le concrete modalità attraverso cui svolgono la loro attività e la finalità che perseguono. Anche l'eventuale presenza di un socio pubblico, anche se di maggioranza, non è elemento di per sé dirimente ai suddetti fini.
Se un committente agisce in un mercato concorrenziale assumendo il rischio di impresa come qualunque altro operatore, non godendo di alcuna copertura pubblica in caso di attività in perdita, non vi sono ragioni per sottoporre la sua attività contrattuale al regime pubblicistico.

Come a suo tempo evidenziato dal giudice comunitario, chi opera secondo le regole di mercato è per ciò stesso orientato a scegliere il miglior contraente, per salvaguardare la sua efficienza imprenditoriale. Non vi è ragione quindi per imporre le regole pubblicistiche, giacché lo stesso risultato - la scelta del miglior contraente - viene perseguito secondo le ordinarie modalità di azione del committente.

La conseguenza di quanto detto è che per stabilire se un committente che ha veste giuridica privatistica sia o meno tenuto ad applicare le norme pubblicistiche sui contratti andranno verificate volta per volta le sue specifiche caratteristiche e le concrete modalità di azione. In sostanza, la veste giuridica societaria finisce per essere neutra, nel senso che non assume rilievo decisivo per decidere sull'eventuale applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Così, in tutti i casi in cui la veste societaria porta con sé lo svolgimento di un'attività tipicamente imprenditoriale con assunzione piena del rischio di impresa non ci saranno le condizioni per l'applicazione della normativa pubblicistica, che invece troverà spazio nelle ipotesi in cui il committente, ancorché costituito in forma societaria, goda di una situazione di privilegio che allontana la sua attività dai normali canoni di tipo imprenditoriale.

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