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Terre e rocce da scavo: cosa sono e quando sono riutilizzabili come sottoprodotti

di Carmen Chierchia

Dal 22 agosto 2017 è in vigore la nuova disciplina sulle terre e rocce da scavo che sono qualificate come sottoprodotti, contenuta nel DPR del 13 giugno 2017, n. 120, «Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164».

Le terre e le rocce da scavo
Il DPR 120/2017 definisce «terre e rocce da scavo» come il suolo escavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un'opera, tra le quali: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; opere infrastrutturali (gallerie, strade); rimozione e livellamento di opere in terra.

La disciplina delle terre e rocce da scavo deve essere inquadrata nell'ottica più ampia della disciplina del Codice dell'Ambiente.

Secondo l'articolo 184 bis del Codice, infatti, le terre costituiscono un "rifiuto speciale" più precisamente, rientrano in questa categoria «i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis».

Le terre e le rocce da scavo perdono la propria qualifica di "rifiuto" se, secondo la disciplina dell'articolo 185 del Codice dell'Ambiente, sono riutilizzate nel medesimo cantiere in cui sono prodotte (precisamente secondo l'articolo 185 del Codice, «Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto (…): b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati; c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato».

Infine, non sono rifiuti le terre e le rocce da scavo che possono essere gestiti come sottoprodotti. È questa l'ambito in cui si inserisce il DPR 120/2017.

L'articolo 1 del Regolamento in esame, infatti, precisa che le sue disposizioni si applicano alla gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti provenienti da cantieri di piccole dimensioni, di grandi dimensioni e di grandi dimensioni non assoggettati a VIA o a AIA.

Quando le terre e rocce da scavo sono sottoprodotti?
Per essere qualificate come sottoprodotti , le terre e rocce da scavo devono soddisfare i seguenti requisiti:

a) Devono essere generate durante la realizzazione di un'opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;

b) il loro utilizzo deve essere conforme alle disposizioni dichiarate del piano di utilizzo o della dichiarazione;

c) lo scopo dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo si concretizza (i) nella realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali sia nel cantiere in cui le terre sono state generate che in opere diverse (ii) in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;

d) sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

e) soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Regolamento.

Proprio con riferimento ai requisiti tecnici, il Regolamento precisa anche che le terre e le rocce da scavo possono contenere anche una componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale nella quantità massima del 20% in peso.

LA NOVITA DELL'AUTODICHIARAZIONE
Le principali novità del nuovo Regolamento (Dpr 120/2017) consistono nella gestione delle terre e rocce da scavo attraverso auto-dichiarazioni e non più per mezzo di autorizzazioni preventive.
Si snelliscono quindi le procedure: la gestione delle terre e rocce da scavo non necessita più dell'espressione di un parere / autorizzazione da parte dell'amministrazione ma segue le logiche delle dichiarazioni di parte.
Procedure semplificate, quindi, ma che – a differenza di quanto accadeva in precedenza – si differenziano a seconda della dimensione del cantiere: cantieri di grandi dimensioni (con volumi di scavo superiori a 6.000 mc.) sottoposti a VIA; e cantieri di piccole dimensioni e di grandi dimensioni non sottoposti a VIA.

GRANDI CANTIERI
In particolare, per i cantieri di grandi dimensioni il proponente trasmette il piano di utilizzo all'ARPA novanta giorni prima dell'inizio dei lavori. L'autorità competente verifica d'ufficio la completezza e la correttezza amministrativa della documentazione trasmessa. Entro trenta giorni dalla presentazione del piano di utilizzo, possono essere richieste integrazioni alla documentazione ricevuta. Decorso tale termine la documentazione si intende comunque completa.
Decorsi novanta giorni dalla presentazione del piano di utilizzo ovvero dalla eventuale integrazione, il proponente avvia la gestione delle terre e rocce da scavo nel rispetto del piano di utilizzo.

PICCOLI CANTIERI
Nei cantieri di piccole dimensioni, la presenza dei requisiti di ammissibilità per l'utilizzo delle terre e rocce da scavo è attestata dal produttore tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la trasmissione almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo al comune del luogo di produzione e all'ARPA. Nella dichiarazione il produttore indica le quantità di terre e rocce da scavo destinate all'utilizzo come sottoprodotti, l'eventuale sito di deposito intermedio, il sito di destinazione, gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere e i tempi previsti per l'utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione delle terre e rocce da scavo.
Questa dichiarazione assolve la funzione del piano di utilizzo.

Nell'ottica della semplificazione, si pone anche l'assenza di procedure complicate per la modifica del piano di utilizzo.

RIUTILIZZO MATERIALE DA SITI DA BONIFICARE
Un'altra importante novità consiste nella disciplina del riutilizzo del materiale (non contaminato) proveniente da siti soggetti a bonifica. Su questo argomento, prima del DPR 120/2017 si registravano numerose interpretazioni dubbie.
Oggi la procedure delineata dal Regolamento ammette l'utilizzo di tale materiale, previa validazione da parte di ARPA per i cantieri di grandi dimensioni e previa esecuzione di indagini di dettaglio con ARPA per gli altri cantieri. La possibilità di utilizzo di questo tipo di materiale deve necessariamente passare per una valutazione dello stato della procedura di bonifica in corso: per poter riutilizzare il uso lo scavato la procedura in corso deve aver quantomeno concluso la fase della caratterizzazione, in quanto i valori della validazione e le indagini di dettaglio di basano necessariamente sui risultati dlela caratterizzazione.

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