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Scontro tra treni, nelle Regioni una valanga di affidamenti senza gara o in house

di Giuseppe Latour

Una valanga di affidamenti diretti o in house. O, in altre parole, contratti di servizio rinnovati in totale mancanza dei livelli minimi di concorrenza. La questione della sicurezza, venuta tragicamente in superficie con la tragedia pugliese, ha un risvolto che riguarda il mercato: i 3.700 chilometri di rete che compongono le ferrovie “ex concesse”, nel corso degli anni, sono stati praticamente tutti assegnati ai soggetti gestori senza una gara. Con un esempio che risalta sugli altri e che viene confermato direttamente con una nota del ministero delle Infrastrutture: «In Puglia allo stato attuale non sono state espletate gare per l’affidamento dei servizi ferroviari né sono previste gare almeno sino al 2021».

La Puglia, infatti, ha all’attivo rapporti con quattro diverse società: Ferrovie Appulo Lucane, Ferrovie del Gargano, Ferrovie del Sud Est e Ferrotramviaria spa. Tutti i relativi contratti di servizio sono stati attivati all’inizio del 2010, sono scaduti alla fine del 2015 e sono stati prorogati fino al 2021. Tutti, rigorosamente, in regime di affidamento diretto: quindi, senza una procedura che preveda un bando e la presentazione di offerte in regime di concorrenza. Ma la situazione pugliese non è un’eccezione.

Scorrendo gli elenchi di tutte le ferrovie italiane, i contratti con caratteristiche simili sono moltissimi, una ventina in totale. L’Adriatico Sangritana, in Abruzzo, è stata affidata in house nel 2012 ed è in proroga fino al 2016. Per le Ferrovie della Calabria c’è un affidamento diretto valido fino al 2018. E affidamenti diretti ci sono stati anche in Veneto, Umbria e Campania, solo per fare qualche esempio. Insomma, come spiega Marco Ponti, professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, guardando a queste ferrovie, «gare degne di questo nome non mi risultano». E prosegue: «La trasparenza degli affidamenti è nulla. Sono antichissimi, e comunque lo Stato paga il 70% dei costi, se va bene, a piè di lista». E c’è anche un altro elemento negativo. Nel quadro del contratto di servizio vengono solitamente affidati in maniera integrata sia il servizio che l’infrastruttura: «In queste ferrovie regionali - dice Pietro Spirito, docente di Economia dei trasporti a Tor Vergata - non si è applicato il principio di separazione tra infrastrutture e servizi. Io, invece, vedrei come un fatto positivo la separazione dell’infrastruttura, affidandola a Rfi».

Allora, se la sicurezza delle ferrovie viaggia a due velocità, si può dire lo stesso per la concorrenza. Dopo la riforma del 1997, infatti, le società “ex concesse” sono rientrate nella competenza delle Regioni. Successivamente, con la costituzione dell’Autorità di regolazione dei trasporti, è emersa una spaccatura. Da un lato, ci sono i 16.700 chilometri di rete di Rfi, regolati dall’Authority. Dall’altro, c’è la polverizzazione delle 34 società minori che, invece, fanno capo ai singoli governatori. Ne viene fuori un sistema che sfugge alle competenze di un regolatore unico: ognuno costruisce i contratti di servizio in maniera autonoma, affidandoli senza gara. Ne deriva un rapporto squilibrato tra investimenti, trasferimenti pubblici e costi. Con questi ultimi che tendono ad andare fuori controllo. Sul punto, un decreto del Mit potrebbe a breve rivedere il sistema di competenze, allargando il raggio d’azione dell’Autorità.

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