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Ferrovie/1. Il Tesoro sceglie le banche per avviare la quotazione in Borsa

di Celestina Dominelli

Entro fine gennaio il ministero dell’Economia sceglierà le banche che agiranno in qualità di global coordinator nella privatizzazione di Ferrovie, il piatto forte del piano dell’esecutivo dopo l’Ipo di Poste. Le candidature delle principali banche d’affari sono arrivate a Via XX Settembre che ha chiuso il processo di selezione lunedì e, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, in lizza ci sarebbero le primarie investment bank italiane ed estere come Ubs, Société Générale, Mediobanca, Deutsche Bank, Goldman Sachs e Jp Morgan (le ultime due, tra l’altro, insieme a Morgan Stanley, Nomura e Smbc Nikko, sono state appena nominate nella squadra di istituti che coordinerà l’Ipo delle ferrovie giapponesi, da realizzare entro la fine del 2016).

La macchina finanziaria per valorizzare il gruppo, dunque, marcia a pieni giri. Sui tempi e, soprattutto, sull’esatto perimetro di ciò che verrà collocato sul mercato non ci sono però ancora certezze, anche se, intervenendo ieri in audizione davanti alla commissione Trasporti della Camera, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha provato a piantare qualche paletto. «Il modello di valorizzazione della holding è quello più efficiente - ha spiegato il titolare di Via XX Settembre - come dimostrato anche da altre realtà consolidate come Enel, Eni e le stesse Poste».

Il ministro ha quindi messo in fila le possibili controindicazioni di una privatizzazione per pezzi del gruppo guidato da Renato Mazzoncini. «La mia valutazione personale - ha aggiunto Padoan - è che è meglio la privatizzazione della holding e non di segmenti perché temo altrimenti si possa verificare un fatto paradossale». Se si privatizzasse, come ventilato da alcuni rumors circolati nelle scorse settimane, solo l'Alta velocità, «ci sarebbe - ha precisato - l'elevato rischio di fermarsi lì e di perdere una parte dei gioielli di famiglia e l'occasione di portare ai livelli decisamente più alti di quelli attuali gli altri segmenti del trasporto che invece sono parte dell'obiettivo strategico», mentre investire anche nei segmenti «che ho chiamto "poveri"», è «anche funzionale alla privatizzazione perché migliora il sistema». Insomma, nessuno spezzatino in vista dell'Ipo, ci ha tenuto a chiarire Padoan non prima di aver ribadito che la proprietà della rete - altra tessera cruciale del mosaico privatizzazione - rimarrà comunque «pubblica», ma «una cosa è la proprietà e un'altra è la gestione. La gestione della rete e del settore trasporti - ha proseguito il ministro - sono già oggi separati. Non so come sarà il modello di gestione una volta completato il processo, ma in altri casi esteri convivono in modo efficiente proprietà pubblica e gestione non pubblica della rete. Bisognerà valutare le opzioni», ha ammesso Padoan che ha poi negato l'esistenza di una frattura in seno all'esecutivo.

«Su questo - ha aggiunto - posso anticipare una fortissima identità di vedute tra il ministro Delrio e una visione condivisa nel governo». E sulla necessità di una separazione tra la gestione della rete e quella dei servizi si è espresso ieri anche Andrea Camanzi, numero uno dell'Authority dei trasporti, nel corso di un'audizione in Senato sulla privatizzazione di Fs.

Ma è ancora troppo presto per dire quale sarà la formula battuta dal governo, come per i tempi dell'Ipo. Non a caso ieri Padoan non si è voluto sbilanciare: la privatizzazione è prevista «entro il 2016 anche per gli impegni presi in sede Ue per l'abbattimento debito», ma i tempi «dipenderanno dall'ottenimento di risultati di efficienza di gestione, in modo che il valore del bene nel suo complesso sia valorizzato al massimo e quindi permetta di ottenere il massimo ricavo da questa operazione».

Anche perché gli impegni assunti con Bruxelles rispetto ai proventi stimati da questo dossier e dall'intero piano sono nero su bianco: «Nel 2016-2018 si prevede che l'insieme del programma di privatizzazioni potrà comportare entrare per lo 0,5% del Pil all'anno», ha sottolineato ancora Padoan. E gli introiti dell'Ipo di Ferrovie, ha rimarcato il ministro, andranno a riduzione del debito pubblico. Su quando, però, il governo conta di portare a casa l'operazione non c'è ancora, come detto, una linea definitiva. E, come si ricorderà (si veda il Sole 24 Ore del 4 dicembre), anche nella versione definitiva del dpcm con cui si è avviata la privatizzazione parziale di Fs, è scomparso qualsiasi riferimento temporale stringente per la quotazione in Borsa. Tanto che, nella missiva inviata dal Mef alle banche in corsa per il ruolo di global coordinator, viene chiesto agli istituti di indicare una finestra temporale possibile per l'Ipo tenendo conto dell'evoluzione del business e, ovviamente, delle condizioni del mercato. Perché una cosa appare chiarissima, come ha detto ieri anche Padoan: il collocamento sul mercato dovrà essere un driver di crescita per le Fs. Uno degli obiettivi prioritari, ha spiegato ancora il ministro, «è lo sviluppo del gruppo» in termini di volume di business e di miglioramento della qualità del servizio. A sostegno del quale, è il suo ragionamento, arriveranno le risorse che la società sarà in grado di reperire una volta che, a valle della privatizzazione, avrà conseguito maggiore efficienza.

Il percorso, quindi, è ancora alle primissime battute e, come per Poste, anche per la valorizzazione di Fs «ci sarà un lungo processo di roadshow, prima della discesa nel mercato». Ad ogni modo, ha chiosato Padoan, «questa operazione è un'ulteriore conferma della concretezza del processo di riforma del Paese». Riforme che il Mef sta provando a illustrare anche oltreoceano: proprio in questi giorni, infatti, il capo della segreteria tecnica del ministro, Fabrizio Pagani, è volato a New York per una serie di incontri con alcuni investitori internazionali.

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